In questi ultimi anni nel mondo del fitness si parla sempre più spesso di digiuno intermittente – o intermittent fasting – in relazione alla prestazione sportiva al dimagrimento o alla salute, me lo chiedono spesso anche i miei studenti durante i Corsi di perfezionamento in Nutrizione sportiva. Sembra che improvvisamente si sia scoperto il sacro Graal che risolve tutti i problemi di carattere prestativo, estetico e salutistico. Cerchiamo di capire di cosa si tratta e come è possibile inserirlo nel proprio stile di vita.
Cos’è il digiuno intermittente?
Digiunare significa astenersi, in tutto o in parte, dal cibo o da alcuni cibi e bevande, per un determinato periodo di tempo. Tecnicamente è il periodo che separa il termine della digestione dall’inizio di una nuova digestione. Parliamo quindi di un periodo in cui non forniamo all’organismo macronutrienti. In questo periodo di tempo all’interno dell’organismo si verificano molti processi biochimici di estremo interesse che possono aiutare il nutrizionista o il professionista del fitness nell’ottimizzare il proprio lavoro.
Cosa succede al tuo corpo durante un digiuno?
Il primo fenomeno osservabile è un aumento del metabolismo lipidico, ovvero dell’utilizzo dei lipidi come fonte energetica per la sintesi dell’ATP (la molecola base del nostro organismo per far funzionare le reazioni biochimiche). Acidi grassi e successivamente corpi chetonici divengono il substrato energetico principale per il mantenimento delle funzioni organiche. Si capisce bene che, in ottica di ricomposizione corporea, questo è un potente strumento a disposizione del professionista per raggiungere risultati estetici e prestativi.
Il secondo e non meno importante fenomeno riscontrabile durante un digiuno è il rinnovamento cellulare ad opera dell’autofagia. Il termine autofagia deriva dal greco e significa “mangiare se stessi”. Fu coniato circa 40 anni fa da Christian De Duve. Semplificando possiamo affermare che l’autofagia è un modo che ha l’organismo di produrre energia a partire dalle componenti cellulari fatiscenti o danneggiate. Una cellula è come un’industria in cui diversi settori utilizzano macchine particolari per trasformare il prodotto grezzo in prodotto finito. Si intuisce immediatamente che la “manutenzione” degli organelli (le macchine industriali del nostro esempio) è estremamente importante per il corretto funzionamento cellulare. L’autofagia, seguendo il nostro esempio, si occupa di fare la manutenzione cellulare sostituendo le “macchine” che sono usurate. Poiché le cellule sono un sistema avanzato, nel rinnovarsi compiono una funzione ecologica, utilizzando gli scarti prodotti dalla lisi degli organelli per produrre energia e riciclare i componenti ancora in ottimo stato, come gli aminoacidi. Gli aminoacidi derivanti dalla degradazione degli organelli cellulari sono riportati nel citosol per ricostituire nuove macromolecole o per il metabolismo energetico (Mizushima et al. 2007). La degradazione selettiva degli organelli è particolarmente importante per i mitocondri, le nostre centrali di produzione energetica.
La mitofagia è il processo attraverso cui i mitocondri non perfettamente performanti sono degradati e rimpiazzati da quelli nuovi. Questo processo aumenta l’efficienza della fosforilazione ossidativa e limita la produzione di specie reattive dell’ossigeno (radicali liberi) contenendo lo stress ossidativo (Kim et al. 2007). L’autofagia può essere basale, quella normalmente attivata dal nostro organismo e indotta come quella innescata dall’esercizio fisico, dall’ipossia e dalla restizione calorica che, oltre ad agire localmente sul muscolo in attività estende la sua azione ad organi e tessuti periferici. He e collaboratori (2012) hanno mostrato come 30’ di esercizio fisico siano in grado di attivare l’autofagia non solo localmente, ma anche nel cervello, nelle cellule pancreatiche, nel fegato, nel cuore e nel tessuto adiposo. Gli autori sostengono che l’autofagia acuta possa avere un ruolo nella regolazione del metabolismo durante l’esercizio. Lo stesso gruppo di ricerca ha mostrato come l’esercizio induca l’autofagia nel tessuto cerebrale promuovendo la plasticità neuronale, rimuovendo l’accumulo degli organelli cellulari danneggiati e influendo sulla neurogenesi. Uno studio di Mackenzie e collaboratori (2009) ha mostrato che l’effetto acuto di esercizi di forza induce un incremento della sintesi proteica in concomitanza con la degradazione delle proteine esistenti. La degradazione è attivata tramite la mVps34, una PI3 chinasi che regola l’autofagia. Sembrerebbe quindi che l’autofagia sia necessaria per il rimodellamento muscolare e sia indotta, tra le altre cose dall’esercizio ad alta intensità. E’ stato dimostrato (Masiero et al. 2009) che difetti nel processo autofagico a livello muscolare provocano perdita di massa muscolare e calo di forza. Ecco quindi che uno stile di vita sedentario e in cui non si presentano occasioni per provocare un deficit energetico attraverso il digiuno,possono causare seri problemi di salute. La macchina uomo è stata progettata per muoversi e fronteggiare situazioni di scarsità di cibo, qualora una o entrambe le condizioni siano disattese la probabilità di “malfunzionamenti” e quindi ammalarsi aumenta.
Quindi: il digiuno intermittente migliora la mia prestazione sportiva?
Sì, può. Nel tempo, nel mondo dello sport e del benessere, sono state sviluppate diverse strategie di digiuno intermittente: leangains, eat stop eat, warrior diet, sleep slow, mima digiuno, solo per citare le più conosciute. Alcune di queste prevedono un periodo di digiuno su base giornaliera, altre una forte restrizione calorica e l’utilizzo di determinati alimenti che fanno credere all’organismo di essere in digiuno. E’ importante capire che l’impostazione di un digiuno intermittente deve seguire delle regole precise ed è consigliabile affidarsi ad un professionista per evitare di commettere errori.
La prima regola prevede che ci sia un’alternanza di restrizione calorica, la fase di digiuno, e iperalimentazione. Sostanzialmente non basta “saltare” un pasto, occorre che la quantità di nutrienti che si mangerebbero senza effettuare il digiuno rimanga la medesima, quello che cambia è la “finestra” in cui questi alimenti possono essere consumati. Questo ha una logica ben precisa, se da un lato durante il digiuno si vanno a demolire componenti cellulari, dall’altro è necessario fornire, attraverso il cibo, le molecole per ricostituirle.
Nella formulazione di intermittent fasting più utilizzata nel mondo del fitness, la 16/8, si digiuna per 16 ore e si consumano tutti gli alimenti previsti in un giorno senza digiuno nelle restanti 8 ore. La seconda regola è di avvicinarsi al digiuno intermittente per gradi, iniziando con uno o due giorni a settimana, anticipando la cena e ritardando la colazione gradualmente. Si può in tal modo estendere il naturale digiuno notturno prima a 12 ore, poi a 14 ore ed infine 16 ore.
La terza regola vuole che gli allenamenti siano posti al termine del periodo di digiuno.
La quarta regola è che il digiuno può essere interrotto nel peri–allenamento, infatti, come scritto sopra, l’allenamento agisce con meccanismi molto simili che possono sovrapporsi ed estendere l’effetto cellulare. Una pianificazione classica del digiuno intermittente con l’allenamento prevede di utilizzare il protocollo 16/8 in concomitanza con gli allenamenti in palestra, anticipando l’allenamento con degli aminoacidi a catena ramificata e una piccola quantità di carboidrati (circa 30 grammi). Al termine dell’allenamento comincia il periodo di refeeding consumando il quantitativo di macro e micro nutrienti previsti per la giornata.